Scritto da Restituta Castiello mercoledì 12 luglio 2006 e pubblicato in www.tecnedonna.it di webarchive

Octavia Butler è stata la prima donna afroamericana a raggiungere una considerevole notorietà nell’ambito della Science Fiction ed è appartenuta a quel gruppo di scrittrici che negli anni 60 e 70, irrompendo in un genere tradizionalmente ritenuto maschile, ne hanno sovvertito dall’interno temi e stili. La notizia della sua morte recente per ictus, avvenuta il 9 Marzo 2006, ha ricevuto una certa visibilità anche sui quotidiani italiani che hanno celebrato la scrittrice per i romanzi La parabola dei talentiLa parabola del seminatore (entrambi pubblicati da Fanucci), e Sopravvissuta (Mondadori).

L’opera con cui l’ho conosciuta io, invece, è la trilogia dal titolo Xenogenesisun lavoro che esplora le tematiche della diversità insistendo sull’antiessenzialismo, sulla messa in discussione del concetto di Natura e sulla speculazione intorno alle nuove frontiere della corporeità, della riproduzione, delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica come pratiche rivoluzionarie. Per questo insistere su tali tematiche la Butler di Xenogenesis è stata spesso associata al filone di fantascienza cyberpunk o della biopunk fiction, anche se in altri romanzi la sua scrittura contiene forti spinte radicali ed identitarie. Con il suo fare continuamente breccia nei nessi tra mascolinità e controllo della tecnologia – solitamente associata a fini esclusivamente militaristici o di dominio – Butler ci restituisce una Visione di un mondo possibile in cui viene recuperato il controverso rapporto tra donne e tecnologia dal punto di vista situato ed eccentrico di una donna di colore e, per estensione, di tutti i soggetti collocati ai margini del pensiero dominante.

XENOGENESIS – LA TRAMA

La trama della saga è a grandi linee questa.

Verso la fine del XX secolo gli umani hanno distrutto la terra e la loro stessa specie in una guerra nucleare. Una specie aliena, chiamata Oankali – il cui significato è “trafficanti di geni” – interviene a salvare i pochi umani sopravvissuti alla catastrofe trasportandoli su un’astronave-organismo, che orbita intorno alla terra, tenendoli in animazione sospesa per 250 anni nell’attesa che l’ambiente terrestre possa ritornare ad essere accogliente, grazie anche al loro intervento e alle loro biotecnologie avanzatissime. La loro missione, però, non è restituire la terra agli umani ma coinvolgerli nel progetto che è il fine e il significato di tutta la loro esistenza: il gene trading, commercio di geni, ossia la creazione di una nuova specie, nata dall’accoppiamento di umani e Oankali. Sarà Lilith, la protagonista afroamericana del primo romanzo della serie, la prima donna a dare vita ad una nuova progenie nata dall’accoppiamento con gli Oankali.

GENESI ALIENA

Il tema dell’alieno nella saga è uno dei punti focali della narrazione. Alieni non sono solo gli Oankali ma lo è la stessa Lilith che assurge a paradigma universale della alienness che nella saga di Butler è metafora dell’“essere altro”, l’altro che sfida e sovverte l’ordine della società patriarcale. Lilith, riscattando il destino infelice della sua antenata biblica, sistematicamente occultata dalla storia a favore della più normalizzata Eva, capro espiatorio del male universale, riconquista il suo primato di progenitrice di una nuova umanità. Il rimando alla tradizione giudaico-cristiana – laddove la leggendaria Lilith viene restituita al suo originario ruolo di prima donna, creata non da una costola/appendice di Adamo, bensì come lui dall’argilla e a immagine e somiglianza del divino – è solo uno dei livelli discorsivi su cui si articola la riscrittura della storia di origine dell’umanità. Questa riscrittura parte dalla decostruzione di un modello di femminilità, su cui tutta la cultura occidentale si è informata, e dalla conseguente messa in discussione del modello di famiglia così come è intesa nelle società industriali (a partire dal dimorfismo sessuale): gli alieni possono essere di tre sessi, maschi, femmine e ooloi. Le nuove famiglie umano-aliene sono famiglie queer, composte da una coppia umana e un trio alieno. La progenie di queste singolari famiglie è il prodotto di un cocktail genetico che gli ooloi sintetizzano nei loro corpi.

ALTRE STORIE D’ORIGINE

Questa riscrittura procede senza sosta fino ad investire gli assunti cardine della cultura occidentale che ha santificato l’origine della specie in teorie che hanno celebrato l’eroico innalzarsi dell’individuo eccezionale, la vittoria del più adatto sugli altri individui, sulle altre specie e sull’ambiente.

Gli Oankali hanno un’organizzazione sociale basata sulla simbiosi e sul corporativismo. Le caratteristiche che consentono loro di mettere in scena una diversa storia di origine e di evoluzione sono le metodologie di scambio secondo politiche di ispirazione “microbica” o “virale”; i loro organismi acentrici modellati sulla foggia dei procarioti; l’erotismo dislocato e il mancato dimorfismo sessuale; le pratiche sociali corporativiste, non gerarchiche e non violente; le loro tecnologie non distruttive che stabiliscono un dialogo simbiotico, potremmo quasi definirlo amoroso, tra le specie e con l’ambiente. Nelle loro società la raccolta ha sostituito la caccia, i rapporti orizzontali hanno sostituito quelli verticali, al dominio sull’ambiente si è sostituito la logica del mutuo scambio, alla famiglia nucleare ed edipica si è sostituita una famiglia allargata, dove donare e donarsi – sensazioni, stimoli neuronali, messaggi genetici – diventano pratiche comuni.

Attraverso la narrazione di questo nuovo modello di aggregazione sociale Butler disconosce il darwinismo a vantaggio di altre storie evolutive, misconosciute nel panorama della scienza ufficiale dando voce a teorizzazioni altre – spesso elaborate da scienziate donne.

Di queste altre teorie evolutive e paleoantropologiche si sono fatte portavoce scrittrici e scienziate come Lynn Margulis, nota per aver concepito la teoria della Simbiogenesi, la scrittrice gallese Elaine Morgan, con la sua teoria della Scimmia nudaAdrienne Zihlman e in particolare Donna Harawaycon le sue teorie paleoantropologiche su Woman the Gatherer Man the Hunter.

Secondo Haraway, ridimensionando la rilevanza della caccia e postulando il contributo delle femmine degli ominidi alle tecnologie della raccolta e quindi la loro partecipazione attiva nella vita economica delle comunità si può fornire un quadro dell’evoluzione più verosimile. Nella saga questo dialogo tra Woman the Gatherer e Man the Hunter è esemplificato dall’opposizione tra comunità Umano-Oankali e comunità di resisters.

UN LUOGO NELLA DIFFERENZA

È importante sottolineare che la alien origin story che Butler mette in scena in Xenogenesis non vuole rimanere nel regno della pura fantasia fantascientifica. La storia biologica e culturale degli Oankali è una storia aliena ma allo stesso tempo molto terrena. Xenogenesis è senza dubbio espressione della voce afroamericana di Butler – che parla attraverso il suo alter ego, Lilith – perché esprime proprio la preoccupazione per l’identità del diverso. Le pratiche di decostruzione del soggetto, di dissoluzione dell’essenzialismo statico dell’identità, messe in atto dagli Oankali, sono dei punti cardini di molta teoria critica afroamericana e costituiscono il punto di partenza per una critica molto vasta ai discorsi sull’identità, che coinvolge la razza ma anche il genere e la specie.

Non è un caso che a portare alla ribalta questi controversi temi che hanno a che fare con il corpo sia una scrittrice erede di un popolo che ha avuto profonda familiarità con le pratiche eugenetiche, il genocidio, lo stupro etnico, la distruzione dell’ambiente d’origine, lo sradicamento. Questo non implica sostituire una politica patriarcale con una politica del diverso, rinnovando partigianamente la dicotomia scientifica, cartesiana e fallocratica dell’appropriazione dell’oggetto. Si tratta piuttosto, come dice Luce Irigaray, di trovare “un luogo nella differenza” che non sia appropriativo ma neppure “mancante”. Affinché il diverso non sia più accessorio, funzione, strumento, specchio del “medesimo” (corpo bianco, maschio, eterosessuale), all’interno della cui economia esso viene definito, è necessario mettere in discussione ciò che conta come natura e ciò che conta come cultura (politica, scienza, tecnologia). Come anche per Haraway, bisogna smascherare le semiotiche socio-costruzioniste che stanno alla base della scienza ed inventarsene altre che non mirino a riproporre il medesimo logos ma che lo minino alla base, decostruendolo e riscrivendo una narrativa scientifica del corpo più adeguata, che si fondi su un significato non monologico. L’apporto di una donna nera a questa narrativa può essere determinante proprio per la sua familiarità con la periferia della cultura, una visione dislocata sui discorsi dominanti, non ultimi quelli della scienza e delle tecnologie.