Quando tutto è finito, anche per la mediazione dei candidati democratici eletti il 24 novembre 2019, sembra che sia rimasta solo una ragazza … un’ultima ragazza a presidiare il fortino al centro dell’ostinata resistenza dei manifestanti al Polytechnic Univeristy di Hong Kong e oggetto del feroce assedio della polizia durato 2 settimane; La protesta degli studenti, e di gran parte della popolazione della città, per ottenere elezioni completamente libere e una seria indagine sulla violenza della polizia continua tutt’ora ma lì vi è stato lo scontro più lungo. Circondato da massicce forze di polizia per poter fermare e arrestare i protagonisti, l’edificio non offriva altre via di fuga se non il sistema fognario e quando la polizia è entrata “hanno trovato sdraiata su un divano, una singola ragazza, una sorta di ultima giapponese nella giungla, un po’ smarrita alla quale hanno chiesto di lasciare l’università così da porre fine, una volta per sempre, alla rivolta studentesca. Ma la ragazza (…) ha rifiutato di consegnarsi e ha detto che intendeva rimanere dove si trovava.” (1) da un articolo del 27 novembre del quotidiano Il Giornale. Per la testata diretta da Sallustri, quell’ultima ragazza che ancora sfida il potere è simile ai soldati giapponesi che non si arresero alle forze alleate durante la seconda guerra mondiale e, ancora negli anni “70, furono ritrovati nella giungla incapaci di arrendersi, invece per noi dei femminismi quell’ultima ragazza è l’immagine dell’enorme sforzo che tutti noi dovremmo compiere per poter rendere esigibili i diritti di partecipazione politica per cui tanto si è battuta. Sappiamo così poco della discriminazione e della subalternità inflitta dal potere patriarcale alle donne di Hong Kong e di tutta la Cina. Il video mostra l’intrasigenza del potere e non rende onore alla strenua resistenza degli occupanti, hanno rischiato fino a 10 anni di carcere per il reato di sommossa. Solo un atteggiamento pacificatore avrebbe potuto impedire la furia distruttiva dei manifestanti scatenata dalle violenze subite dalle forze di polizia.
Vorrei guardare ciò che è successo nei sei mesi della protesta di Hong Kong e intersecare le molteplici narrazioni rintracciate sui media e in Rete con il punto di vista sempre più digitalizzato del femminismo intersezionale dei giorni nostri e contribuire a far vedere ciò che non è stato visto. La particolarissima posizione geografica e storica della città di Hong Kong, ex-colonia britannica e indiscusso hub economico-finanziario del continente asiatico, fa si che usi e costumi si avvicinino molto a quelli occidentali e, come da noi, la parità di genere stenta a essere raggiunta anche per le donne di Hong Kong seppur meno condizionate dal “femminismo di stato” della fin troppo vicina Cina. Secondo un recente rapporto della Women’s Foundation, il dominio maschile è ancora molto pronunciato e occupa quasi completamente la leadership nell’istruzione superiore, nella magistratura e nelle aziende; le donne di Hong Kong sono pagate in media il 22% in meno degli uomini e, se si considera la forte presenza rispetto al confucianesimo della chiesa cattolica, protestante e anglicana come in occidente, i legami familiari accentuano la subalternità della donna all’uomo a dimostrazione che l’impronta patriarcale è comune alle citate religioni. Quando nel 2013 e dopo che il numero di episodi di stupro era aumentato del 60% , il rispetto delle regole patriarcali (normatività) traspare nel commento del funzionario per la sicurezza di Hong Kong, Lai Tung Kwok: “le donne non dovrebbero bere troppo” se vogliono evitare di essere stuprate(2), anche da noi affermazioni simili sono all’ordine del giorno .
Le condizioni e le possibilità di successo delle manifestazioni di piazza della città di Hong Kong sono fondate sulla tecnologia (3) e il fatto in sè è ormai noto a tutti, ciò che non è evidente è il nesso profondo con la compagine femminile e da femminista tecnologa di tipo informatico vorrei indagare il fenomeno. La città ha difeso e continuerà a difendere la sua autonomia dal goverso anti-democratico cinese e, ai miei occhi, sempre la città ha posto una problematica di genere tutta da scoprire e da svelare a dimostrazione che il punto di vista di genere rintraccia i fili di un altro genere di narrazione sicuramente più desiderosa di dare voce agli accadimenti senza essere reticente e/o diversamente complice. A parere di molti, i sei mesi della protesta di Hong Kong sono caratterizzati da un aumento progressivo e graduale di violenza di genere sulla compagine femminile allo scopo di ricondurla al silenzio e alla subalternità. Vorrei riproporre alcuni fatti riportati dalle principali agenzie di stampa internazionali e da alcune fonti on-line per cercare di rintracciare i fili narrativi che permettono di supportare tale tesi.
Sono così approdata alle analisi di alcune esperte di genere dell’Università cinese di Hong Kong: Susanne Choi Yuk-Ping, Petula Sik Ying e Jane Chan. Le loro affermazioni si basano sulle conversazioni dei forum e dalle interviste a studentesse dei loro corsi e a giovani ragazze che sono scese in piazza mosse dall’esigenza di avere un ruolo e aiutate soprattutto dalla tecnologia e dalla mancanza di leaderschip dei gruppi di protesta. Non ho avuto modo di sapere se sono mosse dalla ferita inferta dal femminicidio di una loro coetanea perchè le cronache riflettono un’immagine delle giovani donne di Hong Kong molto stereotipata. Analizzando i Twitter e le conversazioni via Telegram delle ragazze scopriamo fatti sconvolgenti ma tutti inerenti alle proteste anti-estradizione e nulla trapela riguardo il complicato fatto di cronaca . Purtroppo nulla che si avvicini alle manifestazioni delle piazze sudamericane e di Non un di meno in Italia!? l’analisi si complica e necessita di uno sguardo decentrato che presta attenzione anche alle parole, alle metafore e all’ethos utilizzato nelle descrizioni: soprattutto la retorica della guerra – amico/nemico, il comportamento dei manifestanti definiti combattenti valorosi – e il disprezzo per la vita di chi nulla ha da perdere perchè il proprio futuro è nelle mani dell’enorme potere di Pechino (4).
Per rileggere la cronaca dei fatti più salienti ho scelto quattro ambiti perchè in ognuno emergono tracce di una possibile diversa narrazione.
Un femminicidio all’origine delle proteste ( ciò che ha scatenato l’inizio).
La rivolta a favore della democrazia che ha scosso Hong Kong negli ultimi mesi è iniziata come protesta contro le proposte di modifica della legge di estradizione di Hong Kong. Gli emendamenti sono stati motivati dal raccapricciante caso di un ragazzo accusato di aver strangolato la sua ragazza Poon Hiu-wing, una ragazza di 20 anni di Hong Kong in vacanza con lui a Taiwan per la festa San Valentino. Nel rivelargli di essere incinta probabilmente non l’ha rassicurato sulla sua paternità. Il sospetto, Chan Tong-kai, è fuggito a Hong Kong.
Poiché Hong Kong non ha un trattato formale di estradizione con Taiwan, non è stato possibile processarlo. Il governo di Hong Kong si è occupato di questo caso e lo ha utilizzato come base logica per proporre emendamenti che consentirebbero estradizioni, caso per caso, verso paesi che non hanno trattati formali di estradizione con Hong Kong.
Di recente Chan Tong-kai ha ammesso di aver strangolato Poon, di aver messo il suo corpo in una valigia e di averlo nascosto in alcuni cespugli. Un prete lo ha convinto a tornare a Taiwan per affrontare la giustizia e lo accompagnerà non appena verranno chiarite le procedure di ingresso perchè purtroppo nel frattempo Taiwan ha negato loro il visto. La mancanza di un accordo con Taiwan impedisce di essere estradato dalle autorità di Hong Kong che dichiarano di non poterlo perseguire per omicidio commesso in un altro stato e dunque viene rilasciato. Voci vicine alla famiglia affermano che il ragazzo intende consegnarsi liberamente alla polizia di Taiwan e attendere la giusta punizione. Il suo confessore, reverendo nella scuola frequentata dalla coppia e affiliata alla chiesa anglicana, afferma che “Tutti possono vedere che è solo un bambino” e “Spero che gli verrà data una seconda possibilità per correggere i suoi errori e ricominciare da capo”. Affermazioni strane ed equivoche visto che a Taiwan vige la pena di morte per omicidio tant’è che nel 2017 vi è stato un significativo aumento di esecuzioni. Paradossale tutta la vicenda giudiziaria sorta attorno al reato di femminicidio e al destino del reo-confesso. Sul fronte della giurisprudenza è certo il fatto che non esiste una legislazione sovranazionale a cui appellarsi nei casi di femminicidio che avrebbe permesso il superamento delle dispute sull’estradizione degli stati nazionali. Nelle molte cronache sulle manifestazioni anti-estradizione nessun cenno al femminicidio e sembra che non vi sia ricordo della giovane donna morta per mano del suo compagno!
Il protagonismo delle donne di Hong Kong e la centralità della componente femminile fra i manifestanti.
Per il magazine on-line International Viewpoint circa la metà, 46% dei manifestanti, sono donne di Hong Kong. Le immagini dei manifestanti che hanno fatto il giro del mondo hanno volti di donne e di ragazze giovanissime che, insieme ai ragazzi, sono riuscite a far scendere nelle strade dell’ex colonia folle oceaniche – fino a due milioni di persone su una popolazione di poco più di sette. Come afferma Petula Sik Ying Ha e con lei altri intelettuali di HK, è proprio la mancanza di una leadership centralizzata, d’obbligo per mantenere nel tempo l’anonimato e l’impunità dei manifestanti, ad aver permesso il protagonismo femminile. Le strategie delle protesta sono il risultato di vere e proprie tattiche organiche online. I manifestanti usano forum online come LIHKG (5) (disponibile solo in lingua cinese e fondamentale infrastruttura digitale. Una sorta di versione locale di Reddit dove gli utenti commentano e votano i post – così come i gruppi di chat Telegram (i più grandi di questi hanno decine di migliaia di membri) – dove la funzione di sondaggio permette ai partecipanti di stabilire i successivi step della manifestazione: approvata la proposta e la location, si agisce di conseguenza. Sempre in maniera auto-organizzata, un sondaggio chiede se i manifestanti debbono rimanere o disperdersi e, proprio come un’onda, le varie manifestazioni si sono succedute nel tempo, intensificando la presenza o cambiando strategia in base alle opportunità. #BeWater, sii acqua è lo slogan dei manifestanti di Hong Kong riprendendo una celebre frase di Bruce Lee che consigliava di essere acqua “per incoraggiare la versatilità in ogni contesto e la capacità di dileguarsi, senza prigionie” (6).
Le donne di HK sono abilissime nell’utilizzo dell’app HKmap.live (7) un’ applicazione di croundsources che mappa la città in base alle segnalazioni dei cittadini e attraverso un gruppo Telegram viene segnalato in tempo reale la posizione delle volanti della polizia e dei posti di blocco. L’App è nata allo scopo di permettere ai cittadini di Hong Kong di scambiarsi informazioni sul traffico e sui trasporti. Disponibile gratuitamente su Google play e sull’Apple store fino ad ottobre quando il gigante di Cupertino l’ha disattivata a seguito delle indagini effettuate in collaborazione con la Hong Kong Cybersecurity and Technology Crime Bureau perchè considerata uno strumento pericoloso per la sicurezza dei cittadini. I manifestanti hanno interpretato la cancellazione come un appoggio ai soprusi della Cina contro le libertà di Hong Kong (8) .
Dalla fine di giugno e fino al ritiro dell’emendamento alla legge sulle estradizioni (avvenuto il 24 ottobre) le manifestazioni si sono succedute a ritmi e con intensità crescente anche perchè lo spettro dell’intervento “diretto” del governo cinese si è fatto via via più reale. Di fronte all’intransigenza del governo e alla brutalità della polizia, le proteste sono diventate più conflittuali e violente e hanno incontrato un maggiore uso della forza da parte della polizia. Le richieste sono sia l’autonomia da Pechino e libere elezioni ma anche il rilascio degli arrestati con archiviazione delle accuse (oltre 6.000 persone fra cui 1.800 donne), depenalizzazione del reato riot (sommosse) per le proteste e una indagine imparziale sulle azioni illecite della polizia. La tattica del goverso cinese è stata evidente: aggravare i tumulti dietro provocazione della polizia fino a dover contare le vittime – anche in uniforme – e provocare le dimissioni della governatrice Carrie Lam giustificando così l’intervento della Polizia del Popolo (di Pechino) per contenere il bilancio delle vittime e soffocare la rivolta.
continua (vedi seconda parte)
Note
(1) L’ultima ragazza della rivolta al Politecnico. Ma Hong Kong ora teme più le sanzioni Usa. Articolo del 27 novembre 2019 Il Giornale e Only one woman found in search of PolyU campus di ejinsight del 27 novembre 2019
(2) Hong Kong’s new feminist wave apparso su NewStateman nel 2015
(3) “Be Water!”: sette tattiche che stanno vincendo la rivoluzione democratica di Hong Kong su EuroNomade
(4) The good, the bad and the ugly after Hong Kong’s pro-democracy surge
(5) Disponibile solo in lingua cinese, questa piattaforma consente di iscriversi solo da un provider di Hong Kong, rendendo così più difficile alla polizia cinese tendere trappole contro i manifestanti. Lo scorso giugno bloccò Telegram e il movimento ha escogitato questa tecnologia implementata su Server autonomi e auto-gestiti.
(6) La strategia dell’acqua: tra Bauman e il tecno-ottimismo delle nuove proteste apparso su Mar dei Sargassi.
(7) HKmap Live è un app creata da un anonimo sviluppatore con l’obiettivo di segnalare agli utenti le attività dei manifestanti a Hong Kong, mostrare su mappa la posizione dei veicoli della polizia, fornire link alle webcam sui luoghi delle proteste e qualsiasi altra informazione utile. Disponibile sia per Android che per Ios, l’app è la versione mobile del preesistente sito hkmap.live. – Cina-contro-Apple-per-app-che-traccia-la-polizia-a-Hong-Kong-aiuta-i-ribelli apparso su Rainews.
(8) Apple rimuove app dei manifestanti di Hong Kong. Apparso su Adnkronos.