Scritto da Federica Timeto sabato 31 marzo 2007 e pubblicato in www.tecnedonna.it di webarchive
The Neovagina Monologues. L’ultima performance di Allucquére Rosanne Stone
Direttore dell’Interactive Multimedia Laboratory (ACTLab) dell’Università di Austin, in Texas, docente di New Media e Performance Studies alla European Graduate School, artista multimediale, performer, pioniera nello studio sulle relazioni fra genere e tecnologia e soprattutto teorica (del) transessuale, Allucquére Rosanne Stone, non a caso, sfugge al confine delle definizioni.
I suoi scritti, tra i quali ricordiamo The Empire Strikes Back: A Posttranssexual Manifesto, ispirato alle tesi del Manifesto Cyborg di Donna Haraway, sua insegnante all’University of California a Santa Cruz, Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di Internet (1997), e l’ancora attuale e citatissimo A proposito del corpo reale (in M. Benedikt, a cura di, Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, 1993), offrono una prospettiva situata alle nuove tecnologie, mettendo in evidenza le dinamiche che legano il gioco dell’identità al desiderio e alla materialità incarnata dei corpi di genere, in uno spazio in cui reale e virtuale, natura e cultura non sono più così facilmente distinguibili. É dell’anno scorso la sua ultima performance, The Neovagina Monologues, la cui prima parte, dal titolo Gender of Choice, sarà l’evento conclusivo (31 marzo) della conferenza della Mid-Atlantic Women’s Studies Association al Bucks County College, in Pennsylvania.
L’ispirazione, oltre l’immediato riferimento ai Monologhi della vagina di Eve Ensler, viene a Sandy Stone dopo aver tenuto un laboratorio al Camp Trans nell’estate del 2005, e a seguito di una serie di conferenze accademiche che le fanno sentire quanto mai urgente la necessità di contribuire a risignificare la componente trans all’interno del sistema educativo, nonostante, o forse a causa di, un clima politico avvertito come sempre più ostile. Il riferimento al fortunato pezzo di Ensler è ironico: il termine ‘neovagina’ si riferisce alla vagina ricostruita chirurgicamente nelle operazioni di cambio di sesso, un costrutto ‘postmoderno’, come lo definisce Stone, che, seppure radicato in un corpo reale e in un’esperienza vissuta, fino a poco tempo era destinato a restare nascosto, e poteva esser discusso solo entro ambiti strettamente specialistici, come quello medico, legale o tecnologico. Sandy Stone attinge alla propria esperienza e a quella delle persone a lei vicine per allestire questa performance. La messa in scena segue il modello drammaturgico di Spalding Gray, dove una persona seduta a un tavolo recita il monologo (scritto da Stone in collaborazione con Honoria Starbuck), che in questo caso è diviso in due parti indipendenti della durata di 78 minuti ognuna.
Con questa performance, Stone aggiunge un altro capitolo alla sua riflessione sulla questione dell’ibridità dei confini. Come ha affermato in un’intervista, riferendosi alla nozione di cyborg di Haraway, “l’idea del confine è un’idea basilare, perché indica il confine di ogni cosa: il confine intellettuale, il confine culturale, il confine ontologico. E in questo senso noi siamo davvero tutti cyborg, perché dobbiamo negoziare le nostre componenti, i nostri confini interni […]. Dobbiamo imparare a vivere continuamente al confine per essere le creature che siamo, e ci scopriamo ad avere a che fare con altre persone, come se pezzi di noi fossero attaccati a loro. E se guardiamo ai nostri percorsi, ci sono anche pezzi di loro attaccati a noi, e anche questo è parte dell’essere cyborg. Non è solo una questione di macchine, ci sono altre persone che collassano in noi, sono già lì, noi siamo già, in un certo senso, collassati gli uni negli altri. In termini culturali, in termini intellettuali – le divisioni che funzionavano prima non funzionano più. Siamo impegnati a negoziare quest’aspetto dell’essere cyborg in modo molto serio, molto pericoloso ma anche molto stimolante e produttivo ad ogni istante…”.