Vorrei introdurre la chiave di lettura degli assi differenziali di potere a proposito del ginepraio che le lotte intestine instaurano nella vita di molte associazioni. Scarsità di risorse finanaziarie e volontariato sono i due nodi irrisolti che lo rendono così doloroso, soprattutto per coloro che si ritrovano schiacciate dalla tensione del fare comunque quel che è giusto, quello che è necessario anche quando non vi sono più le condizioni per un lavoro dignitoso e al limite dello sfruttamento. Dovremmo riflettere sulla natura del potere nelle relazioni umane e, come dice una mia cara amica, soprattutto quando il potere non è più un mezzo ma un fine!
E a maggior ragione quando in gioco ci sono i valori delle battaglie condotte fin qui dai femminismi. Da molti anni è un tema che mi è molto caro proprio per l’esperienza della mia militanza.

Ed è a partire da una metafora meccanica, ipermaterialista che vorrei argomentarlo.
Partiamo dalla differenza fondamentale tra una locomotiva e un’automobile. Le locomotive dei treni non hanno lo sterzo, muovendosi su rotaie il loro è un moto rettilineo. Viceversa, le automobili devono poter svoltare su strade non rettilinee. Questo comporta che nelle auto sia presente il volante che consente di agire sulla traiettoria attraverso il differenziale, un componente meccanico, che trasferisce in curva una potenza diversa alle ruote, interne ed esterne, che modifica la direzione di marcia rispetto all’asse applicando forze variabili in base all’angolo di sterzata.
In curva la velocità diversa tra ruota interna ed esterna, una va più forte mentre l’altra deve rallentare, rende l’idea del differenziale di potere, nel caso delle relazioni umane che procedono lungo un percorso non rettilineo e irto di ostacoli.

Ecco spiegate le parole: asse e differenziale. Proviamo ad applicare questa immagine ai processi e agli attori dell’umano agire: l’asse è il contesto dell’azione, la direzione è lo scopo dell’azione, la posizione sono l’insieme di ruoli e funzioni esercitate per procedere nella direzione tutti insieme. Estendiamo l’immagine a livello macro e pensiamola applicata all’economia, alla politica, alla società e alla cultura e, forse, diventa evidente la definizione di femminismo post-colonialista di Susan Stanford Friedman: “Il discorso del multiposizionamento, dell’intersezionalità o del posizionamento interagente rappresentava un allontanamento dalle modalità discorsive incentrate sul concetto di risveglio (NdA delle potenzialità della donna) e andava a creare una retorica di spazio che enfatizzava gli assi di differenza o gli assi di potere entro cui ogni dato individuo forma un’identità dotata di capacità d’azione e in grado di negoziare, con vari gradi di difficoltà, all’interno dell’ordine sociale”.

Per tanti femminismi all’inizio degli anni ’90 divenne indispensabile essere in relazione con le donne di differenti appartenenze geografiche e razziali, pensiamo alle donne nere, asiatiche, alle donne del cosidetto terzo-mondo. E come dice D.Haraway è stato ed è fondamentale posizionarsi dalla parte dei soggetti più deboli, dei più vulnerabili, le/i dominatə: condizione di lettura della realtà più imparziale e quindi più vera. E come direbbe Judit Butler, significa stare dalla parte di coloro che si trovano nella condizione di vivere vite non degne di lutto. Pensiamo a quante di noi, perchè lesbiche non possono assistere in ospedale la propria compagna in fin di vita per l’ostacolo della famiglia d’origine oppure non sono accompagnate in una separazione, che è sempre un lutto, perchè l’imbarazzo circostante vince sulla solidarietà.

Continuamo la metafora per tentare di coglierne ulteriori sviluppi che, a mio parere, oggi costituiscono una grammatica e un utile lessico descrittivo delle relazioni sociali e culturali ed anche nelle relazioni amicali e amorose. Penso alla posizione che si occupa, il punto da cui si parla e l’asse, il luogo entro cui si può negoziare la propria capacità d’azione. Privato e pubblico, lo spazio o luogo delinea gli assi di differenza e ci fa capire chi, di volta in volta, orienta la direzione. Si può avere il potere di orientare il percorso oppure possiamo scegliere di delegarlo ad altri, l’importante è essere posti di fronte alla possibilità di farlo.
È qui che la libertà, a mio parere, mostra il suo limite, non è raggiunta una volta per tutte ma è messa gioco continuamente dalle contingenze, dalle relazione con gli altri e dalla nostra personale capacità di delineare le nostre traiettorie di vita. L’ANT (Actor-Network Theory) da cui deriva la parola posizionamento – ruoli e competenze – introduce un’interessante categoria: la maschera. Una parola utile ma sottoutilizzata per la sua accezione negativa e sostituita da soggettività. Le diverse soggettività sono al centro del dibattito del femminismo intersezionale.

Invece è la parola maschera che permette di individuare le norme e le regole dell’interazione, sono il copione da recitare. Nelle nostre relazioni la normatività, esplicita e/o implicita, dà la misura del grado di libertà possibile e/o il grado di consapevolezza della posizione occupata ma anche il potere di imprime la direzione del nostro agire a chi è nella posizione dominante. Può diventare manipolazione se in campo non c’è possibilità di scelta e chi lo detiene lo esercita per mantenere la sua posizione e alimentare il proprio ego.

Infine la parola spazio ci conduce a quella di geografia con i suoi derivati di centro/margine, inclusione/esclusione, confine/frontiera. Ormai da tempo le posizioni femministe, J. Butler e G. Spivak solo per citarne alcune, analizzano i soggetti come il risultato di un processo in cui intervengono molteplici «differenziali di potere». Si sono create tante e nuove categorie del soggetto, ciascuna pronta e desiderosa di tracciare la direzione e di disegnare il proprio schema performativo. E forse stiamo perdendo di vista quando e come è all’opera l’asse differenziale di potere, anche nelle relazioni all’interno delle categorie di soggetti marginali e fortemente nomadici.

Credo che l’insistenza sul concetto di soggetti/soggettività, e sulla richiesta di tutele attraverso i diritti, possa nascondere un inganno. Questo inganno consiste nel fatto che, concentrandoci sulla soggettività, possiamo rischiare di dimenticare le condizioni materiali e le relazioni di potere in cui esse vivono. Nello specifico mi riferisco anche alla difficoltà di rintracciare tale asse di potere nelle relazioni all’interno di associazioni politiche di donne come all’interno di coppie amorose dello stesso sesso. Mancando il genere, questa volta prettamente fisico, che allerta e spesso invoca la dominazione che fin qui è considerata un’esclusiva prerogativa maschile, si ritiene che non possa essere incarnata da soggetti subalterni quando invece è in tutto il genere umano. Per M.C. Risoldi “i privilegi sono invisibili a chi li ha. Come il potere. Privilegi e poteri sono ben visibili a chi ne è escluso. Ed altrettanto è per le donne molto emancipate, che io ho chiamato negazioniste”. Per questo durante l’ondata del MeToo è anche emerso un femminismo conservatore e spesso elitario che non ha mostrato la necessaria empatia per chiuque sia vittima di abusi e soprusi e che ci ha spesso costrette a chiederci se vi siano vittime legittime e vittime che se la sono cercata.

Per questo è difficile individuare l’asse differenziale di potere nella relazione fra socie, nella relazione amorosa fra due donne. E ancora di più nelle relazioni in contesti con forti marcature di genere. Penso a certi gruppi informali di segno separatista e lesbico. Spesso composti da soggettività la cui biografia è segnata profondamente dal desiderio di affrancarsi, liberarsi dalla condizione di subalternità da norme e regole discriminatorie nei loro confronti. Single e prive di vincoli parentali perchè escluse dalla famiglia etero-sessuale. Le donne lesbiche sono anche meno abbienti, è noto che i loro redditi sono più bassi rispetto alla popolazione omosessuale di segno maschile. Queste sono quasi per nulla rappresentate politicamente per la loro fisiologica scomparsa nell’orizzonte dei femminismi, almeno in Italia, durante l’egemonia del simbolico della differenza. Bassa scolarità, perchè “avere cultura” è un opzional al tempo dei social e del populismo, e pratiche di natura pre-politica definiscono le loro aggregazioni, il cui posizionamento è più che ai margini rispetto alle coalizioni dei movimenti femministi e dei movimenti queer/LGBTQ+ attivi nella sfera pubblica attuale.
Spesso all’insegna delle pratiche amicali e dello stare insieme separate dal resto i gruppi si raccolgono attorno a luoghi e spazi di libertà dal potere costituito dalla legge, dal mercato e dai vincoli famigliari.

Ed è nel nesso luoghi/spazi di libertà con l’asse differenziale di potere che all’interno di aggregazioni di questo tipo, in nome del riscatto da una condizione di sudditanza e di subalternità, le relazioni replicano inconsapevolmente (a volte consapevolmente) assi differenziali di potere ritenuti tipicamente maschili. Soprattutto quando si perde il senso e il significato dello stare insieme il fascino delle innumerevoli maschere del potere agiscono e muovono le diverse soggettività quando il potere è mezzo e non fine. Soprattutto quando assume le innumerevoli forme del privilegio, quello del ruolo ricoperto in una associazione o economico quando si è benestati e ricche.
Se si perde di vista il bisogno profondo di umanità, di socialità e di amicizia delle relazioni umane, la trappola dell’asse di potere, con le sue maschere di dominatorə e dominatə, scatta anche fra le donne. Sotto l’ombrello dei femmismi ma anche sotto le medesime preferenze sessuali allora essere in relazione con altre simili non è più sufficiente. E, questa volta, per chi è nella posizione della più debole, della più vulnerabile si è di fronte al doppio ricatto: rimanere nella posizione per il vincolo dell’appartenenza, rimanere nella posizione per il vincolo al gruppo amicale/associativo.
Di fronte alla deumanizzazione attuata da un sistema orientato esclusivamente al narcisismo dell’apparire, la maschera, non vi può essere nessun orizzonte di riscatto e nessuna meta salvifica se si deroga dalla nostra umanità. E allora la domanda: perchè stare insieme?

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S. Stanford Friedman Globalizzazione e teoria culturale femminista: identità in movimento in R. Baccolini (a cura di), Le prospettive di genere. Discipline, Soglie, Confini, Bologna: Bononia University Press 2006.