Scritto da Tatiana Di Federico, mercoledì 07 marzo 2007 pubblicato in www.tecnedonne.it di webarchive
Intervista ad Heike Jensen: una delle maggiori esperte di gender digital divide in Europa
Heike Jensen è ricercatrice e docente al Dipartimento di Studi di Genere dell’Università Humboldt di Berlino e membro di molte ONG internazionali impegnate nella promozione delle donne.
Oltre essere impegnata nello studio delle teorie, delle politiche e delle strategie relative ai media e alle ICT e dei movimenti delle donne in tali ambiti, Heike Jensen ha partecipato al Summit Mondiale sulla Società dell’Informazione(SMSI) nei gruppi di lavoro della società civile, delle ONG e delle donne. L’esperienza del SMSI è stata raccolta in un suo saggio pubblicato nel libro Saperi del Futuro, edito dalla EMI, nel quale affronta il tema del processo multi-stakeholder (in italiano multi-attore), una forma di deliberazione politica che ha caratterizzato il Summit dell’ONU e nella quale sono coinvolti i rappresentanti degli interessi del settore pubblico, del settore privato e della società civile. Nel post – SMIS continua ad essere attiva per i diritti delle donne nella società dell’informazione attraverso una coalizione delle Nazioni Unite chiamata Global Alliance for ICT and Development.
Abbiamo incontrato Heike all’Università Humbold di Berlino, dove ci ha raccontato del suo lavoro in Germania e dell’esperienza del SMSI.
Quali sono i progetti sul gender digital divide nei quali sei attualmente coinvolta?
Alla Humbold University di Berlino conduco un progetto di ricerca di post – dottorato sulla ricostruzione storica, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, del coinvolgimento delle donne nelle politiche dei media e delle ICT nell’arena globale. Il mio campo di indagine riguarda il ruolo ricoperto dalle donne in tale ambito e il possibile spazio di intervento dei movimenti femministi al suo interno. Ritengo estremamente interessante capire in che modo le ICT possano essere usate dal movimento femminista globale in quanto strumenti di intervento politico e strategico a sostegno di azioni specifiche orientate alle donne e finalizzate alla riduzione dell’egemonia maschile in campo politico.
Quali sono i dati sul gender digital divide in Germania?
In Germania ogni anno è condotta un’eccellente indagine sull’accesso a Internet, la (N) Onliner Atlas, che quantifica, in termini di numero di utenti, il digital divide tedesco. A livello generale negli ultimi anni c’è stata una grande crescita dell’utenza della Rete, ad esempio nel 2000 era on-line il 30% della popolazione, mentre ora lo è più del 50%. Per quanto riguarda il gender digital divide è stato riscontrato che quando non entrano in gioco elementi discriminatori come l’essere migrante, avere un basso livello di istruzione, un basso livello di reddito o molti figli a carico, le donne usano Internet come e più degli uomini. Al contrario quando si ha una di quelle variabili non solo le donne sono in una posizione di svantaggio, ma il loro divario è maggiore rispetto agli uomini che presentano le stesse difficoltà.
In Germania esistono iniziative a livello nazionale e locale tese a ridurre il gender digital divide?
Si, esistono iniziative a livello federale, statale e locale. Sono azioni mirate a specifici gruppi sociali, come le anziane e le donne che devono rientrare nel mondo del lavoro. In Germania, come nella maggior parte dei paesi del mondo, le donne tendono ad essere più povere degli uomini e questo dato guida le iniziative intraprese dalle istituzioni per colmare i divari di genere esistenti.
Nel libro “Saperi del Futuro” hai scritto un saggio intitolato “La parità di genere e l’approccio multistakeholder: il Summit Mondiale sulla Società dell’Informazione (SMSI) come buona pratica?”. A distanza da più di un anno dalla chiusura del SMSI come puoi rispondere a questa domanda?
Nel contesto del SMSI tale approccio ha funzionato bene, ma oggi sono molto reticente nel definirlo una buona pratica universalmente valida, poiché abbiamo osservato la tendenza del potere economico ad emergere sugli altri attori e a controllare l’intera agenda. In particolare il settore delle ICT è caratterizzato da enormi interessi economici e imprese multinazionali che guidano il processo di globalizzazione e la diffusione delle tecnologie. In un tale contesto globale l’approccio multistakeholder non ha portato a nessun effetto positivo sulla giustizia sociale e la parità di genere, ma costituisce sicuramente una sfida importante per il movimento femminista. Penso che la cosa migliore da fare sia criticare il processo dall’esterno e nello stesso tempo partecipare dall’interno cercando di contribuire alla definizione dell’agenda.
Come è stato partecipare al SMSI in quanto attivista dei diritti delle donne?
Dal punto di vista politico è stato molto frustrante, ad ogni meeting e conferenza preparatoria abbiamo dovuto ritagliarci uno spazio per spiegare perché è importante focalizzare l’attenzione sulle donne, usando un linguaggio molto semplice e evitando termini specifici. Dal punto di vista della collaborazione con le altre attiviste è stato molto educativo e personalmente arricchente. Lavorare con esperte di settori diversi è stato estremamente positivo per l’elaborazione di strategie e analisi delle priorità da affrontare nello sviluppo della società dell’informazione.
Il gender digital divide è un tema nuovo nel dibattito femminista, qual è la sfida maggiore da affrontare?
Il gender digital divide deve essere considerato un punto di partenza per il movimento femminista. La sfida principale, infatti, è adottare una prospettiva globale sulle ICT, in quanto motori della globalizzazione economica e cercare di influenzare ambiti centrali come la proprietà intellettuale e la governance di Internet, per poter portare il tema della giustizia sociale al centro del dibattito sulla società dell’informazione.