Scritto da Federica Timeto lunedì 16 aprile 2007 pubblicato un in www.tecnedonne.it di webarchive
 
 
Il tempo del cyberfemminismo: la timeline di Function: Feminism
 
In collaborazione con il Feminist Art Project, che riunisce le più influenti teoriche, storiche dell’arte e attiviste femministe a livello internazionale, e sul cui sito informativo è possibile consultare una delle più documentate e aggiornate timeline sul tema (arriva fino alle due mostre-evento del momento, Global Feminisms, al Brooklyn Museum di New York, e Wack!, al MoCA di Los Angeles), Deb King, performer, cyberfemminista storica, e fondatrice della rivista mark(s) di Detroit, ha realizzato un sito parallelo, Function: Feminism, dedicato esclusivamente al cyberfemminismo.

Function: FeminismFunction: Feminism rappresenta, forse, il primo tentativo di “storicizzare” un fenomeno relativamente recente come il cyberfemminismo, per lo meno se lo si rapporta alla definizione più generica e onnicomprensiva di arte femminista, su cui molto è stato scritto a partire dai primi anni Settanta, fra antologie, cataloghi e monografie, sebbene ancora si discuta sulla possibilità e necessità di una simile definizione. Non sembra casuale, allora, che la pagina iniziale di FF si apra sulle 100 Anti-Theses di Old Boys Network, scritte per la Prima Internazione Cyberfemminista (Kassel, 1997), e che si possono scaricare nella sala lettura del sito del collettivo; l’ultima delle anti-tesi, che adottano un tono dadaista per smentire qualsiasi piglio accademico, recita, non a caso, “Il cyberfemminismo non ha un solo linguaggio“.

Dichiarazione cui fanno eco le parole di Deb King in occasione della presentazione di FF: “questo progetto può essere considerato solo come la sinossi di una pratica cyberfemminista non gerarchica e decentralizzata. Una cosa è evidente in modo inequivocabile: non c’è nessuna forma di arresto in quest’operazione”. Scrivere la storia del cyberfemminismo non significa storicizzare il fenomeno una volta per tutte, come qualcosa che appartiene definitivamente al passato. Come spesso accade nella storiografia femminista, ricordare il passato non significa archiviarlo, ma rileggerlo, reintepretarlo, mostrarne i legami col presente, la sua eredità e continuità.

Il cyberfemminismo è piuttosto una pratica, in/un movimento, un progetto collettivo in cui, tuttavia, hanno spazio le differenze di ogni genere. La timeline, che mescola le teorie alle pratiche del cyberfemminismo, si apre, come ci si aspetta, con Donna Haraway e Sadie Plant, per concludersi con la pubblicazione di Yes Species del collettivo subRosa (fermandosi, dunque, al 2005). Ogni riferimento è cliccabile, e oltre ad alcuni testi piuttosto noti, oramai, a chi si occupa di arte femminista e nuove tecnologie, è possibile trovare una serie di interessanti riferimenti meno conosciuti che privilegiano proprio le differenze, di genere, classe ed etnia: Lisa Nakamura, Radikha Gajjla, Maria Fernández, tra le prime voci ad aver cercato una connessione fra le teorie dei media elettronici e gli studi postcoloniali.

Voglio segnalare, tra i tanti link interessanti, un articolo di Ingrid M. Hoofd del 2004, pubblicato sulla rivista online Genders, che mette virtualmente in comunicazione le riflessioni di Paul Virilio, teorico francese dei nuovi media, con quelle di Chela Sandoval, autrice chicana di Methodology of the Oppressed(2000) ed esponente di punta del cosiddetto Third World Feminism. La connessione – operazione decisamente femminista – che ne risulta, rileva le differenze nella comunanza, per smascherare l’assunzione, spesso implicita, di un soggetto maschile, bianco e occidentale, in molte teorie contemporanee sulle nuove tecnologie.

Guarda anche:

Feminist Art Project
mark(s)