Cronache femcampiane
di Federica Fabbiani, tratto da A. T. Capitani (a cura di), Un altro genere di tecnologia, 2008 pagg 80-88 ISDR, Roma
“Per essere perfetta le mancava solo un difetto”
www. maschilisti.com/kraus.html (citazione di Karl Kraus … al 8/2023 il link non è più attivo; vedi https://it.wikiquote.org/wiki/Karl_Kraus)
Federica Fabbiani
Abstract
Il FemCamp (http://barcamp.org/FemCamp), inserito nell’ambito del convegno transnazionale “E-WIT” (Bologna, 26-27 maggio 2007) del progetto TechnèDonne, è stato un incontro partecipativo per parlare e discutere della presenza / rappresentazione delle donne e degli uomini nelle nuove tecnologie. Una non-conferenza, in stile barcamp per verificare se i new media sono segnati dalla differenza di genere. TechnèDonne, e contestualmente il FemCamp, che ne ha concluso l’avventura, è stato non solo un veicolo di informazione, ma una vera e propria presenza politica, nonostante e forse anche grazie a tutto il ‘rumore’ che ha scatenato sul web, in grado di intersecare linguaggi differenti, sessuandoli.
In una calda giornata di fine maggio sièsvolto a Bologna il FemCamp1, incontro partecipativo per parlare e discutere della presenza / rappresentazione delle donne e degli uomini nelle nuove tecnologie. Inserito nell’ambito del convegno transnazionale “E-WIT” (26-27 maggio 2007) del progetto TechnèDonne2, il FemCamp, primo barcamp femminista di cui si è a conoscenza, ha cercato di verificare se i new media sono segnati dalla differenza di genere. In sostanza, la domanda è stata ed ancora: cambia qualcosa se la mano che muove all’azione (di comunicazione, di progettazione, di design) è femminile o maschile?
Partendo dal presupposto che il gender digital divide, ossia lo svantaggio digitale delle donne, non riguardi più l’uso e l’accesso delle nuove tecnologie, bensì la progettazione e la produzione degli applicativi e degli strumenti informatici, l’iniziativa, creativa ed orizzontale, ha coinvolto soggetti differenti in un percorso di discussione in un ambiente aperto e collaborativo. Un ambiente, e ci tengo a (ri)sottolinearlo, non neutro, ma esplicitamente femminista, in cui da anni si sperimentano pratiche innovative di progettazione e diffusione di nuovi media. TechnèDonne , infatti, il risultato di un percorso informatico / telematico / politico che l’Associazione Orlando, ente capofila del progetto, ha avviato verso la met degli ’90 con il Server Donne3, primo server gestito da donne in totale autonomia.
Il mondo on line è speculare a quello off line: non è un eldorado con maggiori opportunità, nè un regno degli inferi dalle mille insidie. Esiste un problema di rappresentanza femminile, ma è que stione nota anche a chi naviga poco su internet. Ed esiste anche un problema di autorevolezza delle voci delle donne. Se il web sta diventando sempre più , e penso al cosiddetto web 2.0, una grande conversazione, un pericoloso divario affligge lo scenario tra i sessi: secondo una ricerca del 2003, i media citano molto gli autori (88%) e poco le autrici (12%) dei blog; più precisamente, gli uomini sono citati più volte, prima ed anche per nome rispetto alle donne all’interno di un medesimo articolo. E’ una questione di reputazione, un indicatore di estrema importanza on line, e quella maschile appare con tutta evidenza molto più forte. E’ evidente che non si tratta più di garantire solo l’accesso, ma di assecondare la partecipazione delle donne alla produzione e progettazione delle tecnologie IC. Il problema, quindi, non è numerico dal momento che la presenza delle donne on line è quasi pari a quella maschile (mi riferisco ovviamente all’occidente industrializzato), ma qualitativo: le donne usano le tecnologie, ne sono buone consumatrici, tuttavia non ne sono ancora le produttrici e questo incide sul tipo di tecnologia presente sul mercato: forte orientamento alla competizione e concentrazione quasi maniacale sulle performance in termini di velocit e potenza. Sono convinta che la tecnologia cambier nel momento in cui le donne entreranno nel cuore della sua progettazione proprio perch portano competenze e valori diversi. In estrema sintesi, funzionalit , praticit ed efficacia. Lo strumento deve servire a qualcosa di pratico ed essere funzionale rispetto all’azione da compiùere, sia essa di natura professionale, relazionale e/o ludica. Non serve per misurarsi con/tro gli altri, ma per entrare in contatto con qualcuno/qualcuna o qualcosa, fare rete, migliorare le condizioni di vita, alleviare il carico di quello che in genere è il doppiùo lavoro – lavoro di cura e lavoro retribuito.
Dati disaggregati, lettura sessuata degli eventi, riconoscimento dell’autorevolezza femminile, rappresentazione non distorta e stereotipata di entrambi i sessi: cos è Donne ha cercato di contrastare l’agenda setting dei media, sessuando il linguaggio, il web, il software, per valorizzare la creatività ed i talenti delle donne ancora cos poveramente rappresentate on e off line. E’ difficile ormai prescindere dal mondo rappresentato / comunicato dai media se si desidera capiùre il mondo stesso. La comunicazione è l’universo e il mondo visibile è sempre più solo quello che è mostrato e rappresentato, ossia quello che coloro che detengono il potere mediatico scelgono di mostrare ed ogni altra realtà scompare letteralmente dalla coscienza e dalla presenza di tutte/i. Il problema della comunicazione si traduce nel problema della visibilità / invisibilità di pezzi di mondi sempre più ampiù, che scompaiono. E quando non sono del tutto oscurati, sono comunque difficili da vedere, perchè pochissime fonti sono davvero accessibili alle/i più per raccontare le zone d’ombra. Nominare / rappresentare / valorizzare le donne per moltiplicare e diversificare l’immaginario collettivo, svelando competenze e pratiche esistenti, tuttavia meno note, citate, narrate. Adottare questa strategia comunicativa proprio nel campo delle ICT, che è certamente il regno del neutro, ha avuto e tuttora ha valore rafforzativo. Cos ha fatto anche con la formula del BarCamp, non-conferenza molto in voga tra le/i surfers 2.0, che registrano in genere una bassissima partecipazione femminile: pochissime sul palco (ma questo è quasi normale) e pochissime anche tra il pubblico (e questo è un po’ più strano): una sorta di involuzione della presenza femminile che non prende parola neppure quando il prender parola pubblica è atto spontaneo e volontario.
Barcamp: cronache neutre
Prima di tutto una breve panoramica sul tipo di manifestazione da cui ha preso le mosse il FemCamp: i BarCamp sono ‘non-conferenze’ con contenuti proposti dai partecipanti, mai passivi o relegati al ruolo inerte di spettatori silenziosi per condividere e socializzare idee, azioni, percorsi. Un incontro spontaneo ed informale che si basa sull’auto-organizzazione che produce valore collettivo ed attraverso il quale il totale risulta in genere superiore della somma delle parti. In questa ottica, i BarCamp si elevano a percorsi che valorizzano la soggettività dei/delle singoli/singole nella consapevolezza che tutti/tutte rappresentano una risorsa irrinunciabile per dare impulso al cambiamento ed alla realizzazione dei “processi dell’intelligenza collettiva”, on e off line.
Qualche parola anche sulla definizione e preparazione di un BarCamp: si organizza informalmente attraverso un wiki, software di scrittura collaborativa on line, deputato a mostrare un canovaccio (con lista di partecipanti e di interventi) della giornata che si concretizza, nella sua forma definitiva e fondamentalmente imprevista, il giorno dell’incontro, quando le/i partecipanti si materializzano nel luogo fisico, ipertecnologico (reti aperte e wi-fi sono d’obbligo) ed informale. Il presupposto di base è semplice e chiaro: trasportare la grande conversazione del web in un luogo reale con conseguente ibridazione di corpiù disincarnati e terminazioni sensoriali. Si prevedono in genere varie (due o tre) sessioni contemporanee per dare la possibilità alle/ai partecipanti di seguire le discussioni preferite e non essere costrette/i ad ascoltare qualcosa che interessa poco. Gli interventi si basano in modo particolare sulla discussione, quindi è bene prevedere interventi di circa 15/20 minuti per lasciare spazio all’interazione con le/gli altre/i.
Organizzato per la prima volta a Palo Alto (California) nell’agosto del 2005, il nome è una risposta ironica e giocosa al BarCamp, ‘non-conferenza’ annuale su invito, organizzata dall’editore informatico Tim O’Reilly.
BarCamp -> FemCamp: della strana storia di una connessione elettiva
Perchè un FemCamp? Principalmente per creare le condizioni giuste per valorizzare la creatività e le competenze delle donne nelle nuove tecnologie. Il percorso non è stato, come si può facilmente intuire, automatico nell’identificare e comprendere i bisogni ed i desideri delle donne che sentono come fondante l’identità di genere, avviando, quando necessario, un iter di in/formazione tecnologica. Le attività e le funzioni attribuibili alla cittadinanza digitale – attività di networking, co-produzione di saperi ed informazioni, mobilitazione ed attivazione di percorsi partecipativi collettivi – si basano sul ‘potere’ delle relazioni: servono quindi le classiche competenze femminili e le soft skills. Da qui, la necessità di favorire una vera e propria cultura della partecipazione, creando i presupposti perchè vengano ampliati gli spazi di dialogo sia fisici sia virtuali: non solo i luoghi istituzionali, a volte alieni ad una vera sollecitazione partecipativa femminile, ma spazi segnati dalle differenze di ‘genere, genti, generazioni’.
“Le donne”, ha ben contestualizzato Enza Panebianco in un’intervista rilasciata a Restituta Castiello per il magazine di Techè Donne, “per quello che a me è dato sapere, hanno una copyleft attitude molto più spiùccata degli uomini. Se per gli uomini le scoperte sono diventate elemento di potere, per le donne più facilmente si traducevano in beni comuni. Questo atteggiamento lo conoscevano bene anche le nostre nonne che hanno perpetuato un continuo passaparola su ricette culinarie e medicamenti naturali, su tradizioni e alchimie. Mi sembra ingiusto dire che abbiamo ereditato la attitudine alla condivisione dalle comunità di sviluppo del software libero. Anzi, spesso nelle comunità in cui si pratica la condivisione dei saperi purtroppo la tecnocrazia patriarcale e machista è sempre l in agguato a promuovere divisioni per fazioni, gli irrigidimenti identitari, il mobbing, le derive autoritarie, tutti comportamenti leciti anche se a parole contrari alle policy inclusive e antisessiste di queste comunità . Ho attraversato alcuni gruppiù, dove la dimensione è fortemente gerarchica, con la frustrazione di chi deve condividere il proprio sapere e a volte ha la sindrome dell’operaio sfruttato e con l’avvilimento di chi immagina che il proprio contributo in quella sede non serva a nulla. Quando si prova a chiedere qualcosa nelle sedi frequentate da queste comunità – le mailing list, i canali chat – si tocca con mano come, quando, quanti, sono disposti a condividere il proprio sapere, a favorire il passaggio di informazioni, senza fartelo pesare, senza prenderti in giro, senza fare comizi autoincensatori e autoreferenziali circa il proprio atto di eroica comunicazione del proprio sapere.”4 Un BarCamp delle donne per le donne è sembrato insomma l’incontro giusto al momento giusto. Degna conclusione di un progetto che ha cercato di contrastare il gender digital divide in modo innovativo, ossia ribaltando il luogo comune del deficit di competenze delle donne nel mondo hi-tech e puntando invece sulla valorizzazione della creatività e dei saperi femminili: non vittimistica lamentela sull’assenza delle donne nelle carriere IT, ma attiva e convinta affermazione delle loro abilità tecnico/informatiche. Il problema di genere appare troppo spesso come parte di un circolo vizioso secondo il quale senza la comprensione delle potenzialità delle donne non è possibile un vero sviluppo e senza un vero sviluppo non è possibile comprendere ed integrare piùenamente le potenzialità delle donne. Un BarCamp tematico per tematizzare la differenza di genere quale valore aggiuntivo, mai discriminatorio. Un FemCamp per assecondare, grazie alla naturale interazione e condivisione di pratiche e saperi, una costante negoziazione collettiva e continui aggiustamenti dei punti di vista personali.
“Per Sadie Plant, sono gli uomini a doversi adeguare al nuovo mezzo, non le donne. Il modus operandi degli uomini – la forza è potere – è infatti inappropriato all’interno di una comunità che si basa sempre più sulla cooperazione reciproca e su attività di tipo intellettuale. Il carattere maschile attribuito alle nuove tecnologie non sarebbe altro che un mito conveniente, una tattica per mantenere inalterate le attuali relazioni di potere tra i sessi”.5 C’è l’ambizione di andare oltre la soglia delle pari opportunità : non mera inclusione delle donne nello spazio pubblico, fisico o virtuale che sia, una sussunzione del femminile all’universale neutro-maschile, ma il tentativo, anche nei new media, di “collocare la differenza nell’universale”.
Lo abbiamo detto e ripetuto fin dall’inzio di Techè Donne, prendendo il testimone dal progetto ServerDonne, cui ora l’abbiamo restituito: in una società tecnocentrica, dove il digital divide si combatte quasi esclusivamente “offrendo” più computer ed accessi ad Internet più veloci, l’uguaglianza nell’accesso alle nuove tecnologie non implica necessariamente uguaglianza nelle opportunità . In questa ottica le nuove tecnologie si concentrano unicamente sulla “performance” e le diverse soggettività , degli individui/e e delle culture non hanno lo spazio necessario per dotare di senso le loro informazioni / comunicazioni / produzioni. La parità sostanziale non si raggiunge semplicemente aumentando il numero di donne coinvolte nello sviluppo tecnologico: ci non porta direttamente a proporre tecnologie diverse se le donne non riescono a vincere la tendenza ad uniformarsi alla cultura dominante del settore e a far valere ed avvalorare la propria soggettività .
Rinnovata presa di coscienza di una soggettività differente per indicare un percorso di costruzione di consapevolezza, in cui la socializzazione dei saperi riveste un’importanza fondamentale. Instaurare relazioni di scambio reale all’interno di una pratica di relazione significatrice di differenza con chi sente (donna o uomo) come fondante l’identità di genere e sia aperta/o al cambiamento può rappresentare un’occasione importante di modificazione dell’agire collettivo in ogni campo. E’ evidente che la quantità non è un dato irrilevante, tuttavia un agire efficace, che sia anche modificativo dello status quo, necessita che le donne sappiùano abitare la scena virtuale senza lasciarsi fagocitare e/o omologarsi al modello neutro-maschile, potenziando la propria soggettività e promuovendo pratiche in cui prevalga l’autorevolezza femminile.
La formula del BarCamp ben esprime ed interpreta la possibilità di una sfera pubblica in divenire, un luogo di sperimentazioni e conoscenza, in cui l’ascolto diventa attivo e tutte/i contribuiscono a dare vita a nuove auto/rappresentazioni. Se è vero che le tecnologie aumentano la frammentazione e, come afferma Zygmunt Barman, trasformano le persone in un “aggregato mobile in cui ogni singola unit fa la stessa cosa ma nulla viene fatto in comune”, è altrettanto vero che un uso creativo degli strumenti informatici consente di esplorarne i confini alla ricerca di una diversa produzione di senso.
Mamma, le femministe!
Tutto è bene quel che finisce bene? Anzicheno!
Il FemCamp si è trascinato dietro un’infinita scia di polemiche. Certo, non poteva esserci un consenso bulgaro, tuttavia le modalità del dissenso sono state sconfortanti. La diffidenza verso un luogo abitato da femministe si è presto esplicitata in quel fenomeno ben noto della profezia che si auto-avvera. E, infatti, chi ha commentato a posteriori ha parlato di un epiùsodio “non del tutto inatteso”. Niente di nuovo sotto il sole, ovviamente: anche in altri luoghi, molto media mainstream, è stato preferibile tacere la parola ‘oscena’.
Meglio usare sofismi vari per dire la stessa cosa, ma femminismo no, meglio di no. In fondo è un *ismo e il politically correct duepuntozero impone comportamenti moderati, contegno umile, atteggiamenti buonisti. Sapevamo di essere sotto osservazione: molto pubblico ‘neutro’, legato ad una visione della Rete che è vincente solo se ‘neutra’, e strettamente connesso a dinamiche marchettare e di consumo aspettava solo che qualcuna scivolasse sulla buccia di banana. E buccia di banana fu!
In realtà , l’epiùsodio scatenante la parodia anti-femminista è talmente insignificante da non meritare alcun resoconto (se proprio si è colti da curiosità insaziabile, basta collegarsi con lo streaming video6 della giornata, ascoltare la presentazione di Andrea Beggi dal titolo “Blogging for Ladies: (quasi) tutto quello che una donna avrebbe voluto sapere sui blog e non ha mai pensato di chiedere. Come utilizzare meglio dei maschiacci tutte quelle robe dai nomi strani” nella Sala Jude Milhon ed attendere le reazioni finali). E’ stato invece significativo verificare che non si può affermare un’opiùnione diversa che magicamente ci si trasforma in ‘attiviste’ assai sospette, in ‘suffragette’ che non hanno capiùto quanto avanti siano le altre donne che usano (attenzione usano e basta) ‘tutte quelle robe dai nomi strani’, in nemiche da bersagliare il più possibile on line, linkandosi amabilmente per rendere i post più popolari, scalare le classifiche del pubblico ludibrio, denunciando (o dovrei dire aggredendo?), spesso con espressioni anche molto volgari, la presunta aggressività di chi ha osato parlare fuori dal coro. Ma non succedeva qualcosa di simile anche durante la caccia alle streghe?
Sì, è stata davvero una grande delusione per chi ha creduto fermamente nella possibilità di contaminare i saperi utilizzando una formula innovativa e destrutturata dove tutte/i possono contribuire, pur nella diversit delle esperienze e delle pratiche quotidiane, ad aumentare il sapere collettivo. Quella forma di socialità dal basso ben poteva fare ponte e superare quel deficit di comunanza già sperimentato in altri luoghi, la cui forma gerarchica e rigida di fatto impedisce un vero scambio. Organizzare il FemCamp ha significato esporsi e mostrare quella che Elena Pulcini ha definito “il ‘desiderio del legame’, visto come costitutivo dell’identità dell’io e necessario alla costruzione dell’universo di senso, nonché edificato sul paradigma della teoria del dono. In essa il dono emerge come espressione di una pulsione al legame e di un desiderio di appartenenza, insomma come passione dell’individuo comunitario, che non coincide nè con l’individuo egoista e acquisitivo o con l’individuo indifferente e narcisista, ma nemmeno con quello altruista, che dona per donare o per sacrificarsi, non per instaurare un rapporto. L’individuo comunitario con la passione del dono invece instaura proprio grazie a essa forme reticolati di legame in una prospettiva globale e cosmopolitica coniugando in s individualismo e appartenenza, autorealizzazione e solidarietà ”7.
A mio avviso, alla base dell’organizzazione di questi tipiù di incontri, che richiedono un notevole investimento personale e professionale, c’è questa pulsione comunitaria e questa idea desacralizzata del dono. In sostanza si propone un legame sociale “nè egoista nè altruista” che tesse le trame di una potenziale reciprocità non necessariamente simmetrica; “il dono instaura un’uguaglianza solidale che accomuna gli individui senza per esigere il sacrificio della loro dissomiglianza: creando simbolicamente le basi per il configurarsi di un legame rispettoso delle pluralità , di una cosmopoli delle differenze”8. Cos risemantizzata, la grammatica del dono può mutare radicalmente il rapporto con l’alterità , con chi, rubando una bella espressione di Emmanuel Lèvinas, “siede sull’altra riva”. Ma, nel nostro caso, mancava qualcosa di fondamentale per evitare la deriva polemica: la fiducia, senza la quale non è possibile varcare alcuna soglia o guadare alcun corso d’acqua. “…Perchè si realizzi l’alleanza invece dell’ostilità , l’ad-sociazione invece della guerra, occorre che l’apertura all’altro sia una decisione libera tale che preceda l’interesse per s ”9: e non c’è vera libertà di pensiero dove dimorano il pregiudizio e lo stereotipo.
Luoghi (non) comuni
“…Il luogo comune ripristina la retorica del dentro/fuori, io/l’altro, omologati/alienati. Il ripristino di questi dualismi, che ripropongono inesauribilmente la logica del capro espiùatorio, attiva una sorta di solidarismo di maniera grazie al quale il nostro stesso timore di esclusione o emarginazione può essere consolato…Il fattore consolatorio permette inoltre di sviluppare un’aggressività socialmente accettata perchè in teoria si tratta del prevalere del convincimento di una maggioranza a scapiùto di una minoranza.” 10 L’intelligenza “collettiva” e/o “connettiva2, troppo spesso, si arresta sulla soglia di una rivendicazione di universalismo e neutralità che implicitamente tenta di escludere l’alterit . Il paradigma “informazionale” sembra scontrarsi con un’intrinseca incapacità post-moderna di dare forma e coesione ad uno spazio pubblico condiviso: ogni cluster, validando unilaterali rapporti di forza, appare chiuso in un orizzonte circoscritto di produzione di senso. Come sostiene Seyla Benhabib, “pensare dal punto di vista degli altri richiede la condivisione di una cultura pubblica che permetta a ciascuno di formulare davvero ci che pensa e quali sono le sue prospettive. L’immaginazione morale di una persona prospera in una tale cultura dove la prospettiva autocentrata dell’individuo è messa costantemente in discussione dalla molteplicità e diversità delle prospettive che circolano nella vita pubblica”11. Ma nel momento in cui il contraddittorio diventa inammissibile e, quasi, sconveniente, le opiùnioni mantengono una validità meramente soggettiva, inibendo la costruzione di uno luogo comune di convivenza e di responsabilità sociale. On e off.
Pensierini per il futuro prossimo e venturo
“I social network rischiano di relegare i partecipanti delle singole community e di isolarli dagli stimoli di realtà diverse. Il paradosso del web sociale è la sua mancanza di pluralismo e di contraddittorio… Questi sono tempiù di informazione sovrabbondante e dove, contemporaneamente, l’attenzione è la risorsa scarsa. Per questo ‘il filtraggio è un fenomeno inevitabile, un fatto della vita’. Ma altrettanto utile è continuare ad alimentare e a valorizzare i luoghi della diversità e del libero confronto. Anzi proporsi esplicitamente di costruirli”12. Come sempre le parole dell’insostituibile Franco Carlini colpiùscono nel segno. Se mai qualcuna volesse un giorno pensare ad un FemCamp 2.0 consiglierei maggior coraggio nell’esplicitare la differenza. Gi perchè in questa prima edizione, di fatto, ‘il desiderio del legame’ ci ha portato a tradire parzialmente la nostra appartenenza, quasi tenendoci a distanza di sicurezza da temi indicibili e disdicevoli per evitare lo scontro diretto. Consiglierei ancora di essere e/o apparire dissonanti senza aver paura del ‘rumore’, che poi è soprattutto rumore politico, perchè solo cos si può davvero elevare il livello di democrazia nel confronto. Servono pratiche altre e differenti per creare un linguaggio condiviso, cercando mediazioni collettive, non solo percorsi di relazione individuale. E ben vengano le eccedenze nella performance comunicativa; perchè , come scrive Tiziana Terranova, “una cultura network non può mai essere una formazione unitaria che descrive l’omogeneità delle pratiche attraverso una matrice di comunicazione globale. Al contrario, se esiste, essa può soltanto descrivere la dinamica che informa il processo culturale e politico di ricomposizione e decomposizione di una cultura network altamente differenziata, multi-scalare e tuttavia comune”13.
Note
1 FemCamp – http://barcamp.org/FemCamp
2 TechnèDonne – http://www.technedonne.it
3 ServerDonne – http://www.women.it
4 Castiello Restituta, Condivisione della conoscenza e contenuti aperti: un’esperienza – http://www.
technedonne.it/index.php?option=com_content&task=view&id=302&Itemid=54
5 Benetti Mara e Goddard Victoria, Donne e informatica – http://www.url.it/speciali/leonardo/gold.rtf
6 Streaming video del FemCamp – http://tinyurl.com/3bn4o9
7 Pulcini Elena, Oltre il contratto: l’identit femminile e la responsabilit appassionata – http://eprints.unifi.it/archive/00001108/02/11_Pulcini.pdf
8 Pulcini Elena, L’Io globale: crisi del legame sociale e nuove forme di solidariet – http://www.sifp.it/articoli.php?idTem=3&idMess=220
9 Fistetti Francesco, Giustizia sociale, giustizia globale e obbligo del dono – http://www.journaldumauss.net/spiùp.php?article159
10 Villani Tiziana, Il tempo della trasformazione, Manifestolibri 2006, pag. 133
11 Benhabib
12 Carlini Franco, Non è tutto sociale quello che web – http://chipsandsalsa.wordpress.com/2007/08/24/non-e-tutto-sociale-quello-che-web/
13 Terranova Tiziana, Cultura Network. Per una micropolitica dell’informazione, ManifestoLibri, 2006