Scritto da Federica Timeto martedì 12 settembre 2006 e pubblicato in www.tecnedonne.it di webarchive

Controgeografie della mobilità: i video-saggi di Ursula Biemannre, nuove tecnologie ed economia globale nei video-saggi di Ursula Biemann.

La necessità di un’interfaccia teorica e visuale in grado di dare voce alle contemporanee soggettività in transito attraverso i flussi originati dalle nuove tecnologie e dalla circolazione del capitale globale dà vita alle controgeografie che animano il lavoro artistico di Ursula Biemann.

Per contro-geografia, l’artista svizzera, che vive e insegna a Zurigo ma lavora in giro per il mondo, intende un metodo di lavoro reticolare e spazialmente contestualizzato che consenta di riconoscere margini di azione e resistenza laddove questa venga abitualmente misconosciuta. L’artista non può limitarsi a rappresentare una realtà data, ma deve rinegoziarne i significati e offrire un possibile sistema di navigazione nell’incerto e fluido panorama della mobilità globale. Ciò che distingue il video-saggio dal semplice documentario, come pure dall’attivismo mediale, è lo slittamento dalla semplice restituzione di una realtà data alla riflessione critica che emerge dalla mediazione di più livelli di realtà.

Così, i video-saggi di Ursula Biemann rendono visibili le spinte performative e trasformative che muovono la realtà materiale e simbolica dei soggetti che abitano i nuovi spazi della mobilità. Lo stesso video-saggio si pone come intervento performativo – dato che, secondo Biemann, non si può documentare il processo non lineare dell’immaginario, si può solo performarlo – che evita sia le spiegazioni causali che le affermazioni di principio, per creare fertili zone di contatto e trasformazione mettendo in comunicazione spazi abitualmente tenuti distinti.

Simbolo di questo spazio di mezzo diventa il confine, nella sua funzione sia territoriale che simbolica, come luogo dell’ibrido e della contaminazione, ma anche dell’attraversamento e del cambiamento. In Performing the Border (1999), ad esempio, il confine è quello fra Messico e Stati Uniti, dove si concentrano le fabbriche di componenti high-tech a manodopera prevalentemente femminile, in Writing Desire (2000), è indagato lo spostamento dei confini identitari nel cyberspazio e il fenomeno del bride market su Internet, in Remote Sensing (2001), si guarda alla topografia dell’industria mondiale del sesso e alla relazione fra spostamenti geografici e tecnologie della visualità.

Nella maggior parte dei casi, Biemann adopera il video-saggio per indagare le relazioni tra genere, nuove tecnologie e capitalismo transnazionale (si rimanda comunque all’ottimo sito, ricco di documenti e immagini, per una trattazione dettagliata dei diversi progetti dell’artista, che comprendono anche installazioni e collaborazioni, oltre che la cura di mostre e testi). Rifacendosi esplicitamente all’economista femminista Saskia Sassen, l’artista mostra come sia impensabile riferirsi alle attuali dinamiche globali tralasciando le questioni di genere: le giovani donne, infatti, vengono preferite come forza lavoro proprio nelle industrie dove si producono le tecnologie più avanzate, e molte economie nazionali oggi poggiano in gran misura sulle rimesse di queste stesse donne.

Ne consegue un mutamento sostanziale nella struttura familiare tradizionale, che a sua volta implica una maggiore libertà e autonomia rispetto ai vincoli di genere ma anche una maggiore vulnerabilità dei soggetti femminili: la compressione temporale avviene a scapito del loro tempo lavorativo, che subordina anche la riproduzione alla produzione, il corpo alla profitto. È documentata, ad esempio, l’interdipendenza tra mercato globale e mercato del sesso: gli scarsi guadagni delle donne le spingono a integrare le entrate attraverso la prostituzione, oppure a muoversi per cercare altrove nuove prospettive di guadagno.

Nel complesso e contraddittorio scenario che si delinea, anche le più avanzate tecnologie, come gli strumenti ottici adoperati dai complessi militari e scientifici e dagli stati-nazione per il controllo dei corpi delle donne, che li hanno a loro volta prodotti, possono essere impiegate come facilitatori del movimento e del mutamento, attraverso la creazione di differenti spazi simbolici sostanziati da nuovi desideri e possibilità. L’intenzione di Ursula Biemann è allora quella di mostrare come le donne non siano solo vittime o oggetti passivi delle nuove tecnologie, ma agenti attivi della mobilità e identità fluide in grado di creare, abitare e muovere nuovi spazi dell’immaginario e del reale.