Nel 2009 a Bologna per le Elezioni Amministrative si presentò una Lista civica di sole donne e ottenne 1084 voti, pochissimi rispetto ai 112.131 della lista che portò Del Bono a Sindaco della città. Nelle dispute elettorali è risaputo che i numeri non rendono ragione della numerosità dell’elettorato femminile anche perchè è il sessismo che anima la scelta dei candidati eleggibili e quando l’anno dopo il sindaco si dimise a causa di una donna (1) la compagine femminile bolognese più politicizzata rimase disorientata e incapace di opporsi fattivamente alla cultura del “sesso, denaro, potere” dei politici nostrani. Di lì a poco la presa di parola pubblica femminile contro il “dispositivo di sessualità” dominante sfociò nel movimento di donne “Se non ora quando?” che il 13 febbraio 2011 portò nelle piazze italiane migliaia di donne a manifestare contro l’allora presidente del consiglio Berlusconi. Giuseppina Tedde e le sue compagne anticiparono i tempi e nella loro campagna elettorale fu chiaro il contrasto a qualsivoglia “privilegio” .
Gli intenti e il programma della Lista andavano ben oltre: l’inclusione (contro la povertà), la convivenza civile (fra generazioni e appartenenze culturali) e l’attenzione all’ambiente (contro la speculazione edilizia del territorio e per il diritto alla casa). In rete si ha ora difficoltà a rintracciare questa importante esperienza e a ridosso del voto delle regionali 2020 ci è parsa una buona occasione per proporre il documentario di Cristina Comperini realizzato dalle riprese video effettuate in quei giorni. Desiderio e una grande gioia animano le innumerevoli testimonianze delle donne che hanno contribuito al successo di un’impresa difficile e purtroppo destinata all’insuccesso elettorale.
Perchè tutto ciò non venga dimenticato riproponiamo, dopo i video, anche il testo scritto dell’intervista a Giuseppina Tedde di Piazza Grande. E a lei, unica candidata fra 11 uomini un grazie particolare .
Articolo di di Luisa Begani estratto dalla rivista Piazza Grande di Aprile/Maggio 2009.
TEDDE
Giuseppina Tedde è l’unica donna a candidarsi per la poltrona di sindaco di Bologna, con la lista “Altra città — lista civica di donne”. L’abbiamo incontrata nella sede di via Polese 29, Bologna.
1) SICUREZZA. Prima di tutto, amiamo presentarci non con l'”io” ma con il “noi”. Siamo un gruppo di donne, attivo a Bologna da diverso tempo, che ha deciso di mettersi insieme proprio perché condivide un’idea differente di città. Crediamo nell’importanza di tenere insieme il tessuto sociale di una città, che a Bologna si è a frantumato da diverso tempo. Tale frantumazione sta dando sfogo alla parte peggiore della città. In relazione alla questione sicurezza, dobbiamo distinguere la parte dell’ordine pubblico, che non ci interessa in quanto ci sono già forze deputate a mantenerlo, da quella della sicurezza sociale, un diritto-dovere sancito dalla Costituzione, che negli ultimi anni è molto a rischio. Oggi la sicurezza è spesso confusa con povertà, immigrazione ed emarginazione, mentre si tratta di terreni diversi, a cui non si può sempre rispondere con la repressione. Bologna, che è stata una città progressista e all’avanguardia, deve riscoprire il valore della solidarietà. La pubblica amministrazione deve rimettere al centro di tutto la persona, con i suoi bisogni primari, in particolar modo chi si trova in condizione di disagio.
2) CRISI E RISCHIO POVERTA’. Stato ed enti locali non possono esimersi dall’intervenire contro la povertà. Tuttavia non capiamo perché le imprese quando falliscono rivendichino aiuti, mentre quando hanno bilanci floridi si permettano di delocalizzare. Non ci si può ricordare di Stato ed enti locali solo quando si ha bisogno. Inoltre crediamo che non si debba più investire in industrie che ormai non producono benessere ma solo problemi, come l’industria automobilistica. L’Italia, e Bologna, deve puntare su un nuovo sviluppo economico, sull’ambiente e la salvaguardia del territorio. Pensare che lo sviluppo economico passi per la fabbrica e l’industria dell’auto ci sembra un passo indietro.
3) ACCOGLIENZA. I forti tagli agli enti locali non hanno lasciato immune lo stato sociale. Chi ne subisce le conseguenze in prima persona sono le donne: molte sono costrette a ritirarsi dal mondo del lavoro per accudire i familiari. Gli interventi in questo senso sono ancora molto deboli. La riforma dei quartieri aveva come obiettivo quello di andare incontro alle esigenze del territorio; in realtà, senza risorse e funzioni ben definite, i quartieri rischiano di diventare apparati vuoti e decontestualizzati. Invece, come era stato promesso dall’ammini-strazione uscente, il decentramento dovrebbe essere lo strumento primario per governare un territorio sempre più problematico, anche perché sempre più povero. Occorre potenziare i servizi sociali, in aiuto delle famiglie monogenitoriali e degli anziani soli in difficoltà. Attualmente Bologna risponde in modo carente a questi problemi. La nostra città è stata davvero all’avanguardia per quanto riguarda i servizi sociali, ma stiamo andando verso l’esaurimento di ciò che si è costruito trent’anni fa. Ben venga il volontariato, ma deve essere un valore aggiunto e non sostitutivo.
4) IMMIGRAZIONE. Gli stranieri vengono sempre considerati il problema dell’ultimo momento, quando sap-piamo invece che l’immigrazione è vecchia di più di vent’anni. Non si vuole vedere perché vedere significa riconoscere anche diritti, e non solo doveri, a queste persone. Invece attaccare l’immigrato è funzionale: consente di non guardare in faccia i propri problemi. Il punto di partenza è invece il riconoscimento della persona: l’immigrato che vive in Italia deve essere riconosciuto come cittadino italiano, con gli stessi diritti e doveri.
5) CASA. Crediamo che il territorio di Bologna sia già abbastanza sfruttato. È impensabile continuare a cementificare quando il problema casa ancora non è risolto, a fronte di tanti appartamenti sfitti. Il Comune dovrebbe arrivare a una contrattazione coi privati perché il patrimonio privato sia messo a disposizione della collettività, con tutte le garanzie dovute. Il fatto che si con-tinui a costruire è un mera speculazione, che occorre fermare. Bisogna dare risposte a bisogni e diritti, e il diritto alla casa è un diritto primario. In secondo luogo: perché si continua a pensare all’edilizia privata, marginalizzando quella pubblica residenziale? Questi non sono temi nuovi, ma temi vecchi che vanno riproposti, tenendo conto delle trasformazioni sociali avvenute.
6) BOLOGNA. Bologna è una città in conflitto perenne: i giovani sono in conflitto con gli anziani; gli anziani e i giovani con gli extracomunitari; anziani, giovani ed extracomunitari con le donne… Bisogna ricostruire le relazioni, tornare a stare insieme. Credo sia possibile riportare Bologna agli antichi fasti, a partire ovviamente da un cambiamento culturale, ma anche delle pic-cole cose e gesti. Se ci sono problemi non bi-sogna avere paura di confrontarsi e chiarire; non può esistere una “questione Pratello” a Bologna. Bisogna rimettersi in discussione, le soluzioni sono a portata di mano.
Per concludere, noi troviamo innaturale che sia sempre solo la parte sociale maschile ad essere rappresentata. Non abbiamo lo stes-so sguardo: lo sguardo delle donne è capace davvero di guardare a trecentosessanta gradi, a donne e a uomini; lo sguardo maschile guarda invece solo da una parte. Si affrontano i problemi sempre con una prospettiva maschile e alle donne non viene chiesto di cosa hanno bisogno. Noi vorremmo introdurre un elemento di trasparenza nell’amministrazione, attraverso il Bilancio di Genere, per chiarire all’interno di un bilancio quali sono le risorse destinate ai generi e che ricadute hanno.
(1) Cinziagate, il “terremoto” che ha scosso Bologna a gennaio 2010 con le dimissioni del sindaco Flavio Delbono, rimasto in carica per soli sei mesi e travolto dall’accusa di aver utilizzato soldi pubblici per pagare spese personali e vacanze fatte dal 2003 al 2008 – all’epoca in cui era vicepresidente della Regione Emilia-Romagna – con l’allora segretaria ed ex compagna Cinzia Cracchi.